Ringrazio Brigitte per questo breve ma intenso video, ricordando il bel concerto che Alì fece al Teatro Rossini di Pesaro con ADA qualche anno fa.
Segnaliamo qui la recensione del CD interamente dedicato agli studi di Chopin tratta da MusicVoice.
Proprio prendendo in considerazione la mole di tensione e di sofferenza interpretativa, da intendere come un processo di macerazione interiore attraverso il quale Chopin ri-elabora questi ventiquattro Studi, abbiamo un interessante esempio che viene dalla registrazione che il pianista italo-francese Ali Hirèche ha voluto dedicare proprio all’op. 10 & op. 25 di Chopin. Una lettura, la sua, che invita a una serie di dovute riflessioni. La prima e più evidente, palpabile fin dall’ascolto del celeberrimo primo Studio op. 10 in do maggiore, è che Hirèche ha voluto sganciarsi dalla consueta concezione dello “Studio”, almeno in chiave chopiniana, vale a dire un brano votato a una focalizzata finalità didattica e contraddistinto da una complessa figurazione della quale l’esecutore (studente) deve impadronirsi nel tempo, figurazione che può essere sottoposta a eventuali varianti, trasposta in varie tonalità con il duplice risultato di farla apparire mutevole in fase di ascolto, obbligando l’interprete a utilizzare ulteriori accorgimenti tecnici delle mani. Ora, se dobbiamo prendere a modello il primo Studio dell’op. 10, ci si rende subito conto che Ali Hirèche ha voluto per l’appunto fornire all’impianto generale dell’opera una visione squisitamente “antididattica”, ossia rompendo una tradizione che tende a fissare composizioni del genere (e questo vale anche per il già citato wohltemperierte Klavier di Bach) nell’ambito propedeutico e che valorizza maggiormente l’ambito della techné a discapito di una più conclamata “libertà” espressiva, con il risultato, magari involontario ma a volte inevitabile, di isolare, per così dire, il territorio degli Studi dall’arcipelago della restante produzione del musicista di Żelazowa Wola. Ecco, allora, che il celebre arpeggio proposto nel primo Studio dell’op. 10 da Hirèche risulta solare, ma non stentoreo nella sua declamazione, frutto di una plasticità che punta il dito verso un fraseggio che è un fluire continuo, senza assumere toni inutilmente trionfalistici, didascalici, così come il lavoro fatto dalla mano sinistra non viene esacerbato da un abuso della pedaliera, ma cerca un sottile confronto, un dialogo, un’intesa con quella destra. L’estrema “didatticità” dello Studio n. 2 in la minore, dovuto allo sfruttamento maniacale della scala cromatica, al punto da trasformarlo in un esercizio a dir poco atroce per la mano destra, viene risolto dal pianista italo-francese in una restituzione cristallina del tutto, puntando su una resa disincantata, scevra di scolasticismi di sorta ed espressa da diafani rallentamenti agogici che ne impreziosiscono il côté timbrico. Così, in questa chiave di restituzione estetica dell’opera, il sentore di “Notturno” presente nello Studio n. 3 in mi maggiore viene progressivamente increspato, alterato con un crescendo timbrico che non prevarica però la dimensione tremolante, sognante, del brano, il cui riverbero tensivo non viene mai meno (è interessante notare come Hirèche, a questo punto, disattenda, volutamente?, le indicazioni dello stesso Chopin che scrive alla fine dello Studio in mi maggiore «Attacca il Presto con fuoco», in quanto invece di attaccare subito il quarto Studio, fa trascorrere tra una traccia e l’altra ben dieci secondi, come a rimarcare la fase sospensoria, lievitata data dal finale del terzo Studio).