Addio a Carla Fracci: la regina della danza italiana

E’ morta oggi 27 maggio 2021, a Milano, Carla Fracci. Avrebbe compiuto 85 anni il prossimo 20 agosto.  ‘Una figura storica e leggendaria, che ha lasciato un segno fortissimo’, così la ricorda il teatro alla Scala di Milano. Il presidente della Repubblica Mattarella: ‘Ha onorato il Paese con la sua eleganza e il suo impegno artistico, frutto di intenso lavoro’.

La camera ardente di Carla Fracci sarà allestita nel foyer del teatro alla Scala di Milano, venerdì dalle 10:30 alle 18. “E’ una cosa che è stata fatta pochissime volte”, ha spiegato il sovrintendente Dominique Meyer. Cosa rara “ma trattandosi di Carla Fracci…” ha quindi aggiunto, sottolineando che “è stata la ballerina più importante del teatro degli ultimi cento anni, ma anche una stella importantissima nella danza internazionale”. 

Carla Fracci, la regina della danza italiana. Nata nel 1936 a Milano, costruì la parte centrale della sua carriera studiando nella scuola di ballo della Scala, di cui poi ne diventò étoile. Al teatro era rimasta (con qualche alto e basso) sempre legata, tanto che il 28 e 29 gennaio scorso aveva tenuto una masterclass con i protagonisti del balletto Giselle andata in streaming sui profili della Scala e disponibile anche su Raiplay. Del 1955 il suo debutto sul palco del Piermarini che era stato un trampolino per i teatri più famosi del mondo.

Figlia di un tramviere, cominciò a danzare a 10 anni alla scuola della Scala e ha tra i maestri Vera Volkova, diplomandosi nel 1954 e diventando, seguiti alcuni stage internazionali, prima ballerina tre anni dopo. Eppure l’inizio fu “per caso, su suggerimento di una coppia di amici dei genitori, che avevano un parente orchestrale appunto alla Scala di Milano. All’inizio non capivo il senso degli esercizi ripetuti, del sacrificio, dell’impegno totale mentale e fisico sino al dito mignolo” come raccontava, riferendosi al giorno in cui, affascinata dalla danza di Margot Fonteyn, aveva visto in una pausa il coreografo avvicinarsi e correggerle la posizione appunto del dito mignolo.

Fino agli anni ’70 aveva danzato con varie compagnie straniere, dal London Festival Ballet al Royal Ballet, dallo Stuttgart Ballet al Royal Swedish Ballet, essendo dal 1967 artista ospite dell’American Ballet Theatre. Dagli anni ’80 diresse il corpo di ballo del San Carlo, poi dell’Arena di Verona, infine dell’Opera di Roma, dove era rimasta sino al 2010, fedele anche alla amata attività didattica, di attenzione alle giovani leve. 
La sua notorietà artistica si legava principalmente alle interpretazioni di ruoli romantici come Giulietta, Swanilda, Francesca da Rimini e soprattutto Giselle, cui aveva dato una moderna impronta personale, con i capelli sciolti e un leggerissimo tutù, danzandola con compagni di gran fama, anche se era quella con Erik Bruhn a essere rimasta indimenticabile, tanto che nel 1969 ne venne realizzato un film. Al suo fianco grandi partner sono stati Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Henning Kronstam, Mikhail Baryshnikov, Amedeo Amodio, Paolo Bortoluzzi.

Una fama sempre crescente, una grande popolarità sempre viva. Non è un caso che a lei dedicò una poesia Eugenio Montale, ‘La danzatrice stanca’, e ancora la fermavano per strada non più per un autografo, ma per un selfie, cui non si sottraeva, sempre presente al suo tempo, piena di vitalità e spirito.

Qui Carla Fracci col Maestro Venditti.

Mantova Festa a Corte, Gala in onore di Margot Fonteyn, coreografie di Andrea Francalanci

13 maggio 2021 Ascensio-Analepsis-Salita

Un grazie a questi artisti (e soci): Davide, Maria, Laura e Antonietta, che ci hanno regalato queste bellissime esecuzioni per l’Ascensione e segnalato questa antica tradizione veneziana in cui in questo misterioso giorno, Venezia sposa il mare…

Qui riportiamo il passo di Luca, l’unico degli evangelisti che descriva questa prodigiosa salita al cielo.

« Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo.
Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. »  
(Luca 24,50-53)

L’Ascensione di Gesù. Questa sonata è stata registrata da ARPARLA nel maggio 2021, durante la pandemia COVID-19. Questa sonata, come quasi tutte le sonate del Rosario (escluse le sonate n. 1 e 16), utilizza un’accordatura a scordatura, che in questo caso è: C4-E4-G4-C5.

Per l’altra Ascensione, quella della Vergine (che si festeggia il 15 agosto), ecco Antonio Vivaldi Ascende laeta, RV 635: Aria: Ascende laeta · Laura Antonaz

E il 13 maggio Venezia sposa il mare…
EA FESTA DEA SENSA dall.’anno 1000 si ripete ogni anno questa celebrazione nella laguna veneziana

La  Festa della Sensa  si festeggia tuttora. Ancora oggi, il Sindaco della città, nel giorno dell’Ascensione raggiunge, a bordo del Piccolo Bucintoro usato durante la Regata Storica, la bocca di Porto e secondo la tradizione, affiancato dalle Società della voga veneziane, getta nella laguna la vera d’oro ( la fede nuziale ).

La festa religiosa dell’Ascensione in dialetto “Sensa” si celebrava a Venezia con un cerimoniale il cui momento più spettacolare, e al tempo stesso più pregnante dal punto di vista della liturgia civica, era il rito nel corso del quale il doge, nella sua veste di suprema incarnazione dello stato veneziano, si univa in simbolico matrimonio con il mare. Il programma, così come si era definitivamente fissato nel secolo XV, prevedeva per il mattino del giorno dell’Ascensione una messa solenne in San Marco quindi il corteo dogale saliva sull’imbarcazione di rappresentanza, il Bucintoro *, per dirigersi verso il Lido. Al momento dell’imbarco il doge riceveva l’omaggio dei rappresentanti di due comunità popolari, i Nicolotti gli abitanti cioè della contrada di San Nicola dei Mendicoli, composta per lo più di pescatori  e i Povegiotti, gli isolani di Poveglia : la loro presenza e quella degli Arsenalotti, che sedevano in  Bucintoro accanto al doge nel corteo acqueo, voleva significare che anche ai ceti più umili si garantivano uno spazio e un ruolo onorifico  giusto riconoscimento del contributo da loro arrecato al buon funzionamento della società veneziana  nei rituali civico-religiosi della Repubblica.Accompagnato dal canto dei canonici di San Marco a bordo del Bucintoro, il patriarca compiva un giro con il suo piato ( un imbarcazione apposita ) intorno all’imbarcazione dogale e benediceva il doge e le acque della laguna, usando un ramo di olivo come aspersorio. All’uscita in mare a San Nicola di Lido,aveva luogo una seconda benedizione, quella delle acque marine, finita la quale il patriarca versava in mare il residuo di acqua benedetta :  a questo punto il doge gettava a sua volta in mare un anello  pronunciando le parole ”  In signum veri perpetuique dominii “precedute, secondo alcune fonti, dalla dichiarazione “Desponsamus te Mare”. Secondo una tradizione profondamente radicata a Venezia fin dal XIII secolo,   la cerimonia dello sposalizio del mare veniva fatta risalire alla pace di Venezia e al privilegio,concesso da papa Alessandro III al doge Sebastiano ZIiani e ai suoi successori, di sposare il mare per confermare il predominio veneziano su di esso.L’intera cerimonia era imperniata su una metafora nuziale aperta a una duplice interpretazione. In evidente senso giuridico, innanzitutto nello sposalizio, il doge a nome dello stato veneto confermava la propria autorità sul mare proprio come, a norma del diritto matrimoniale veneziano, l’uomo acquistava signoria legale nei confronti della donna che aveva fatto ufficialmente sua moglie infilandole al dito un anello. A un substrato assai più arcaico rimanda il secondo ordine di riferimenti, quello antropologico in virtù dell’atto di conoscenza e conquista sessuale simboleggiato dallo sposalizio(e, ancor di  più esplicitamente, dall’ampolla di acqua santa svuotata nelle onde dopo la benedizione) il mare, elemento femminile della coppia, veniva assoggettato alla maschia volontà dell’uomo e reso, da infido e pericoloso, innocuo e benefico.Lo sposalizio del mare ricorda sotto vari aspetti un primaverile rituale pagano di fertilità, eccezionalmente rivolto non alla terra bensì alla distesa delle acque marine per impetrarne doni preziosi quali la prosperità dei traffici e la stabilità del dominio politico. Fin dal secolo XIV era invalsa la consuetudine di allestire in piazza San Marco, nel periodo dell’Ascensione per otto giorni dapprima, poi per quindici, una grande fiera, la fiera della Sensa.Regolarmente visitata dal doge, essa esponeva anche oggetti di notevole valore venale e artistico e rappresentava una tappa obbligata dell’itinerario veneziano dei più illustri ospiti stranieri come Beatrice d’Este, che nel 1493 vi aveva indugiato a lungo incantata “dalla tanta copia de vetri belli, che l’era uno stupore”. All’origine di questa usanza c’erano, con molta probabilità, ragioni del tutto pragmatiche.In questo  periodo Venezia era infatti affollata di pellegrini in attesa di imbarcarsi per la Terrasanta; essi di solito si trattenevano in città fino alla festa del Corpus Domini, quando alcuni di loro prendevano parte alla processione insieme al doge e ai senatori. Erano inoltre numerosi i fedeli che si recavano alla Basilica di San Marco per lucrarvi la speciale indulgenza essa pure concessa, secondo la leggenda, da Alessandro III. In senso figurato, però, anche la fiera poteva ritenersi coerente e concreta appendice della liturgia nuziale marina : tanta dovizia di ricche e pregiate mercanzie ben si  prestava a rappresentare il visibile frutto della feconda unione tra Venezia e il suo mare.

*IlBucintoro, la nave dogale da parata sempre utilizzata in questa e in altre occasioni di particolare rilevanza cerimoniale, come l’ingresso solenne delle dogaresse o l’accoglienza a ospiti di riguardo e le feste in loro onore. L’esistenza di una imbarcazione dogale di rappresentanza era attestata fin dal secolo XIII sebbene il nome Bucintoro ( busintoro in dialetto ) dall’incerta etimologia, non appaia subito : già all’inizio del secolo XIV  tale imbarcazione si distingueva per le sue dimensioni e il suo aspetto sfarzoso. Un nuovo Bucintoro, ornato a prua da una statua raffigurante la Giustizia, si costruiva nel 1449 un altro veniva inaugurato per la Sensa del 1526.

Tratto da “ VENEZIA “ di Giulia Genta ( Academia.edu )


Antonio Canal detto il Canaletto ( 1697-1768 ), Il Bucintoro al molo di Piazza San Marco

200 anni per Napoleone – 5 maggio 1821-2021

Un omaggio a Napoleone nei 200 anni dalla morte, che avvenne nell’isola di Sant’Elena il 5 maggio 2021.
Qui sotto il testo integrale della famosa Ode del Manzoni e la sua declamazione, recitata da Vittorio Gassman, e a seguire alcuni spunti musicali e coreutici per ricordarne la figura.

La Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore Op. 55, fu composta da Ludwig van Beethoven fra il 1802 e 1804. Fu eseguita privatamente per la prima volta il 9 giugno 1804 (e in mesi successivi) e pubblicamente il 7 aprile 1805 diretta dal compositore. La sinfonia “Eroica” fu inizialmente scritta per Napoleone e rappresenta la sintesi di tutta l’aspirazione all’epos riscoperta negli anni della rivoluzione. In essa si avverte la volontà di tenere insieme la musica e la realtà che già era stata avvertita, se pur in forma primitiva, nella pièce à sauvetage, nella marcia, nell’inno e nel pezzo strumentale a programma.

Beethoven, che come Hegel aveva visto nel generale corso “cavalcare lo spirito del mondo”, gli indirizza una dedica, dedica che in seguito disconoscerà in un impeto di sdegno, strappando il frontespizio dell’opera, a seguito della sua incoronazione a imperatore. Proprio per questa delusione la sinfonia sarà quindi definitivamente intitolata (in italiano) “Sinfonia Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo”.

Il dedicatario definitivo sarà il principe Lobkowicz, un aristocratico boemo appassionato di musica e buon violinista dilettante, che ospitò nel proprio palazzo la prima esecuzione.

l’Ode a Napoleone Bonaparte, che Schoenberg condusse a termine nel giugno 1942, dopo nove anni di permanenza sul suolo americano (vi era giunto nel ’33, abbandonando sdegnato l’Europa in seguito alle prime campagne antiebraiche e contro l’«arte degenerata»), e dopo aver assunto definitivamente, un anno prima, la cittadinanza statunitense. Il testo risale al 1814, quando Byron, alla notizia dell’ abdicazione di Napoleone e del suo esilio all’Elba, sfogò le proprie ansie di romantico «libertario» in una violenta e impietosa invettiva contro il tiranno caduto. «Byron rimase così deluso dalla rassegnazione di Napoleone che gli riversò addosso lo scherno più feroce: e credo di aver colto questo aspetto nella mia composizione», scrisse Schoenberg alcuni anni dopo. Ovviamente, nel testo byroniano, Schoenberg colse l’occasione simbolica, allusiva, che gli consentiva di colpire, nell’immagine della tirannide napoleonica, quella della tirannide hitleriana, auspicandone nel contempo l’analoga fine. Vi trovò anche l’occasione per tributare un atto di omaggio alla nuova patria, quasi a sollecitarla fiduciosamente nella fedeltà agli ideali di libertà della sua fondazione. Ciò quando Byron, nei versi conclusivi, sembra voler contrapporre alla figura di Napoleone quella di George Washington, «il Cincinnato d’ Occidente / colui che nessuna bassezza umana oserebbe odiare».

Dopo il Terrore una “furia ballerina” si diffuse in tutte le classi sociali e fece nascere una moltitudine di balli pubblici o privati; alcune danze di corte e danze popolari si fusero poco a poco in una creatività coreografica che detterà la moda prima nei salotti, poi nella corte dell’imperatore e infine in provincia e fino ai villaggi più nascosti. Non si balleranno più (o poco) alla corte di Napoleone i rigidi minuetti, tipici della corte dell’Ancien Régime, ma si danzeranno balli popolari adattandoli alla solennità e al decoro voluti dall’imperatore. Rimasero certi riti coreografici, come il “minutto di matrimonio”, ballato in onore della novella sposa nel giorno del suo matrimonio, che persistettero in tutte le classi sociali sino al XIX secolo.

Spunti per Calendimaggio 2021

Calendimaggio o anche Beltane in tempi più antichi, è una festa che celebra la Gioia , la Creatività, l’Unione. Merita di essere celebrata anche oggi. Invio due brevi testi audio separati una introduzione e la meditazione vera e propria.

Buon ascolto!

Parte di una vecchia tradizione pagana che celebrava la fecondità, ripresa dai romani per una festa primaverile chiamata Floralia, il maypole era un albero o palo ornato di fiori attorno al quale i giovani di entrambi i sessi ballavano. Era comunque un importante usanza pagana  in tutti i paesi del nord Europa.

Affresco della Flora o della Primavera, da Stabiae, una delle pitture più famose dell’epoca romana. Rinvenuta a Stabia, si trova oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. nr. 8834)


In Inghilterra (il maypole era meno comune in Galles e Scozia) era anche un modo per far ritrovare l’intero paese.


In Inghilterra I festeggiamenti furono interrotti durante l’era puritana nel 1600 quando Oliver Cromwell vietò tutti i maypoles.
Fortunatamente quando arrivò il re Carlo II fu di nuovo permesso celebrare la primavera con i Maypoles, una tradizione che dopo il divieto divenne sempre più popolare.
Il palo era decorato con fiori e nastri, ogni persona prendeva un nastro e con questo girava intorno al palo, gli uomini andavano in una direzione e le donne da quella opposta, fin quando tutti i nastri erano arrotolati intorno al palo.
Un tempo i paesi che potevano permetterselo avevano un maypole permanente, ci sono anche stati casi di furti di maypole da parte di un villaggio nei confronti di un altro.
Ora pochi posti hanno un maypole permanente. Prima delle danze normalmente si elegge la May Queen che vestita di bianco e che butta petali di fiori alla folla.
Ci sono ancora feste di maggio con tanto di Maypole in diversi posti dell’Inghilterra cominciando dalla famosa Royal May Day di Knutsford o anche quello di Hereford. Anche a Londra ci sono feste con Maypole

In certe parti d’Italia, specialmente nelle Marche si usa alla fine di aprile festeggiare la primavera con l’albero di maggio, l’equivalente italiano del maypole.

Il Calendimaggio è una Il Calendimaggio è una tradizione viva ancor oggi in molte regioni d’Italia come allegoria del ritorno alla vita e della rinascita.
La funzione magico-propiziatoria di questo rito è spesso svolta durante una questua durante la quale, in cambio di doni (tradizionalmente uova, vino, cibo o dolci), i maggianti (o maggerini) cantano strofe benauguranti agli abitanti delle case che visitano.
Simbolo della rinascita primaverile sono gli alberi (ontano, maggiociondolo) che accompagnano i maggerini e i fiori (viole, rose), citati nelle strofe dei canti, e con i quali i partecipanti si ornano. In particolare la pianta dell’ontano, che cresce lungo i corsi d’acqua, è considerata il simbolo della vita ed è per questo che è spesso presente nel rituale.

Si tratta di una celebrazione che risale a popoli dell’antichità molto integrati con i ritmi della natura, quali i celti (festeggiavano Beltane), gli etruschi e i liguri, presso i quali l’arrivo della bella stagione rivestiva una grande rilevanza.
In alcune località essa è associata al culto di San Michele, del quale è festeggiata l’8 maggio la sua apparizione nel santuario di Monte San Michele sul Gargano.

E non solo San Michele, ma come tutti sappiamo nella nostra tradizione culturale cristiana il mese di Maggio è dedicato alla Madonna, il cui culto di San Michele è dierttamente collegato. I bellissimi fiori azzurri di myosotis che inondano i prati in questi giorni sono anche detti “Occhi della Madonna” e naturalmente della Vergine, rosa tra le rose, è segno questo bellissimo fiore profumato che fiorisce a maggio.

Alla Sposa, non Sposa, (dall’Akathistos della Theotokos e dei molti antichi Inni) dedichiamo questi spunti, in piedi e in silenzio…, chiedendo protezione, guarigione, salute e benedizioni alla Madre celeste e alla nostra Madre Terra.
Ch.G.

Dalle Cantigas di Alfonso X “El Sabio” (XIII sec.) dall’Ensemble DRAMSAM

os doablos cantigas de santa maria

Molto sentita è negli ultimi secoli dell’Evo Medio la devozione alla Madre Celeste. Maria, vergine e madre allo stesso tempo, rappresenta un modello ideale, fonte di benevolenza ed amore, dispensatrice di aiuto nel bisogno e conforto nella disperazione.

Qui sotto al link il canto Rosa das Rosas

https://www.dramsam.org/ensemble/programmi-da-concerto/os-diablos

E per i nostri bambini dallo storico cartoon disneyiano un famosissimo classico valzer…

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39ma Giornata internazionale della Danza 29/4/2021

Festeggiamo questa giornata internazionale della danza con alcuni spunti che i nostri docenti e soci ci hanno gentilmente segnalato.

Nostra docente di Ballet e Stretching Anna Olkhovaya, proprio ieri sera 28 aprile, ha festeggiato il ritorno in scena quale coreografa in Adriana Lecouvreur al Maggio musicale fiorentino. A lei i nostri vivissimi complimenti!

Su segnalazione della ballerina Olga Generalova questa indimenticabile Danza macabra, facendo eco al recente seminario di Lucio Paolo Testi “Danza macabra tra iconografia e realtà” Walt Disney cartoon 1929 e un’interpretazione della famosa Danse macabre di Camille Saint-Saëns

Luigi Crispino, nuova star del balletto «Sogno di diventare l’erede di Bolle»

Luigi Crispino è la star italiana emergente dell’American Ballet Theatre di New York

dal Corriere della Sera, 21 aprile 2021, Valeria Crippa

«La vita è come la bicicletta: se smetti di pedalare, cadi». Viso d’angelo e corpo scolpito da danza e cross-training, il ventiquattrenne Luigi Crispino, star emergente dell’American Ballet Theatre (Abt) a New York, sa come volare vittorioso (accumulando punti) oltre il vuoto della pandemia. Con determinazione e guizzo partenopeo (è nato a Frattamaggiore, in provincia di Napoli) ha fatto di necessità virtù: mentre la più importante compagnia Usa cancella la stagione primaverile ed estiva 2021 al Metropolitan, si accendono i riflettori su Crispino, dal 2018 nel corpo di ballo dell’Abt, unico italiano in compagnia insieme a Virginia Lensi.

Il 26 aprile, il sito dell’American Ballet trasmetterà in streaming l’esordio da coreografo di Luigi: la creazione «Thread of Memories», commissionata per il ciclo Incubator, un’incubatrice artistica virtuale pensata per lanciare i giovani talenti. «Ho intrecciato, in una sorta di scatola nera che ricorda i video di Zoom, tre assoli che ho composto, in parte da remoto, per tre colleghi — racconta Crispino —. Mi sono ispirato ai nostri vissuti: la nostalgia per la scena, la frustrazione per l’incertezza, l’elaborazione di un lutto personale. Nel terzo assolo, danzato da Virginia, ho trasmesso il dolore recente per la morte di mia zia. Non vedo la mia famiglia da un anno, perché temevo, venendo in Italia, di non potere più tornare a New York».

La famiglia — papà tecnico radiologo industriale, mamma insegnante, una sorella minore — l’ha sempre sostenuto da quando, per gioco a 8 anni, mise piede in una scuola di danza. E ha nostalgia dei suoi familiari. Ma ha reagito: «L’ultimo spettacolo risale al marzo 2020. Quando mi sono trovato chiuso in casa, ho cercato altri modi per espandere la mia carriera. Ho frequentato i tre corsi dell’Abt National training curriculum e ora sono abilitato all’insegnamento. Un’esperienza che mi ha aperto la mente». Un altro tassello che si aggiunge al diploma della Scuola di Ballo del San Carlo, sotto la direzione di Anna Razzi, alle borse di studio newyorchesi, prima alla Jacqueline Kennedy School, poi all’Abt Studio Company. C’è un valore aggiunto nell’essere italiano, in una compagnia competitiva regolata da contratti annuali e 60 spettacoli in due mesi: «Mi considero un patriota, mi piace dare peso al mio essere italiano, sono il frutto della Scuola del San Carlo di Napoli. Ce l’ho nel cuore. Il mio maestro Max dice che sono un ballerino drammatico e romantico».

Roberto Bolle è stato principal dell’Abt fino al 2019 e Crispino si considera erede del suo modello di danza «italiana e internazionale»: «In tre stagioni al Met, ho avuto l’onore di conoscere Roberto, è una persona fantastica. La sua eredità è una grande responsabilità. Ce la metterò tutta per avanzare nella carriera e rendergli onore». Inclusione, diversità e uguaglianza sono temi particolarmente dibattuti nelle maggiori compagnie del mondo, dall’Opéra di Parigi all’Abt: «La danza non è solo spettacolo, è un’arte che mette le ali a un sogno come il mio, che salva la vita di ragazzi che finirebbero male, che nutre l’anima del danzatore e del pubblico affermando con forza che, dentro, siamo tutti uguali, diversi, unici. Perciò non devono esserci barriere di razza, di cultura, di religione. Il balletto è per tutti».

https://fb.watch/5albeX2JIo/

SHIVAKAMA SUNDARI, LA ŚAKTI DEL DIO DELLA DANZA a cura di Marialuisa Sales

Patrocinato da WKO-ADA, eccovi ultimo dei video del progetto coreutico e pittorico LA STANZA DELLE DEE, a cura di Marialuisa Sales con la collaborazione dell’artista Massimo Liviadotti.

Shivakama Sundari è la paredra del Signore Naṭarāja nel tempio di Chidambaram. La danza la ritrae come Signora degli elementi e dei sensi secondo la descrizione dell’opera Abirami Anthadhi, versetto 68. Opera pittorica di M. Livadiotti: “Tāṇḍava”, olio su tela, 2009

Hildegard von Bingen a cura di Ida Garzonio

Potete ascoltare la conversazione dotta su Ildegarda di Bingen a cura della prof.ssa Ida Garzonio qui sopra indicata: buon ascolto!

Ildegarda di Bingen (in tedesco Hildegard von Bingen; Bermersheim vor der Höhe, 1098 – Bingen am Rhein, 17 settembre 1179) è stata una monaca cristiana, scrittrice, mistica e teologa tedesca. Suora benedettina, è venerata come santa dalla Chiesa cattolica; nel 2012 è stata dichiarata dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI.[

Donna dai numerosi talenti, nella sua vita fu noltre profetessa, guaritrice, erborista, naturalista, cosmologa, filosofa, artista, poetessa, drammaturga, musicista, linguista e consigliera politica

Nacque, ultima di dieci fratelli, a Bermersheim vor der Höhe, vicino ad Alzey, nell’Assia Renana, nell’estate del 1098, un anno prima che i crociati conquistassero Gerusalemme.

Le visioni di Ildegarda sarebbero iniziate in tenera età e avrebbero contrassegnato tutta la sua esistenza. All’età di otto anni, a causa della sua cagionevole salute, era stata messa nell’Abbazia di Disibodenberg dai nobili genitori, Ildeberto e Matilda di Vendersheim, dove fu educata da Jutta (o Giuditta) di Sponheim, giovane aristocratica ritiratasi in monastero. Prese i voti tra il 1112 e il 1115 dalle mani del vescovo Ottone di Bamberga.

Ildegarda studiò sui testi dell’enciclopedismo medievale di Dionigi l’Areopagita e Agostino. Iniziò a parlare, e a scrivere, delle sue visioni (che definiva «visioni non del cuore o della mente, ma dell’anima») solo intorno al 1136, quando aveva ormai quasi quarant’anni. Alla morte di Giuditta, Ildegarda le succedette come magistra (ovvero priora) della comunità col consenso delle poche consorelle, che allora facevano parte del monastero maschile di san Disibodo.

Pochi anni dopo, per far fronte al crescente numero di novizie,[ si trasferì nella comunità femminile del monastero di Rupertsberg da lei stessa fondato nel 1150 a Bingen, intitolato a san Ruperto (del quale scrisse l’unica biografia esistente), le cui rovine verranno rimosse nel 1857 per far posto a una ferrovia. Si dice facesse vestire sfarzosamente le consorelle, adornandole con gioielli, per salutare con canti le festività domenicali. Nella sua visione religiosa della creazione, l’uomo rappresentava la divinità di Dio, mentre la donna idealmente personificava l’umanità di Gesù. Nel 1165 fonderà un’altra abbazia, tuttora esistente e floridissimo centro religioso-culturale, ad Eibingen, sul lato opposto del Reno. L’abbazia è visitabile, e nella chiesa si possono ammirare gli affreschi che ritraggono i momenti salienti della vita di Ildegarda e i segni straordinari che accompagnarono il momento del suo trapasso, avvenuto il 17 settembre 1179.

Nell’arco di una dozzina di anni, tra la fine del 1159 e il 1170, compì quattro viaggi pastorali, predicando nelle cattedrali i Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz e Würzburg.

Danzare con le nacchere

Le nacchere hanno radici antiche, già nel III millennio a.C. si trovavano nell’antico Egitto strumenti simili fatti di avorio, legno, osso o metallo che venivano utilizzati per riti sacri o accompagnare le danze. Nella Grecia e Roma antiche era usato il crotalo, il cui aspetto era più simile alle nacchere rispetto a quello dei suddetti strumenti egiziani. L’origine delle prime nacchere a forma di conchiglia sono incerte, e fonti attendibili indicano che potrebbero essere state create in Spagna o nell’Italia meridionale. Sono raffigurate in un affresco dell’XI secolo in Spagna. Una versione rettangolare a tre elementi con un manico era usata nel XIII secolo dai giocolieri e dai lebbrosi per avvisare la popolazione della loro presenza.

Una versione simile chiamata Britsche fu descritta nel 1511 da Sebastian Virdung. Nel XVI secolo le nacchere e la chitarra accompagnavano la danza sarabanda e divennero conosciute in tutta la Francia. Furono suonate nel 1608 per il matrimonio di Cosimo de’ Medici. Nel suo Harmonie Universelle del 1637, Marin Mersenne sostenne che erano utilizzate in Spagna e ne diede una descrizione dettagliata. In un suo libro del 1722, Filippo Bonanni descrisse uno strumento molto simile alle nacchere moderne. Con gli antichi nomi castañetas e castanyoles si diffusero particolarmente in Andalusia per accompagnare danze tradizionali fino a diventare uno strumento nazionale spagnolo.

WKO-ADA ha promosso recentemente un corso online “Danzare con le nacchere” per poter iniziare a conoscere meglio questo bellissimo piccolo strumento che potrà arricchire anche la danza.
Docente straordinaria è Ludovica Mosca che qui, nella foto, vediamo con la nostra socia, soprano e pianista, Olga Miracle e che vi invitiamo ad ascoltare in un bolero di grande bravura e stile.

21 marzo 2021 – Primavera

Buona Primavera!

Inseriamo qui vari apporti dei soci per questa giornata che apre la porta alle delicate corolle che imbiancano prati e colline e ai profumi che ci attraversano, leggeri, tra siepi fiorite…

Il calendario Gregoriano incide nella data in cui ricorre l’equinozio di primavera, dal momento che non corrisponde precisamente alla durata di una rotazione della Terra attorno al Sole che è di 365,2422 giorni (mentre il calendario ne considera solo 365). Per compensare questa lieve differenza sono stati introdotti gli anni bisestili: ogni 4 anni febbraio è di 29 giorni ma questa soluzione crea un nuovo squilibrio che va ad anticipare l’equinozio di primavera (o posticiparlo) di un giorno. In generale, tuttavia, salvo casi eccezionali la stagione di primavera inizia sempre il 20 marzo. Durante questo evento si verificano spettacoli spesso unici che portano a veri e propri giochi di luce. Il caso più emblematico è quello di Stonehenge, nel Regno Unito, dove i raggi durante l’equinozio si infiltrano attraverso i megaliti. Effetti stupefacenti si registrano anche monte Torhatten, in Norvegia, dove i raggi solari si allineano con un tunnel della montagna lungo 160 metri. In Italia uno dei luoghi magici al Pantheon di Roma dove la parte alta della porta di entrata viene illuminata nel momento in cui il Sole è più alto nel cielo.

Attorno agli equinozi di primavera si rincorrono poi diverse leggende e miti, come quello spagnolo che vede la presenza di fate alte 15 centimetri e che si prendono cura delle foreste comunicando con la vegetazione danneggiata e gli animali feriti. Secondo la mitologia, durante la notte dell’equinozio di primavera popolano le colline danzando fino all’alba.

Ecco la Primavera di Francesco Landini cantata qui da Enea Sorini

 

Un altro apporto fiorentino…

Sfide Caviardage…la primavera di Laura Gallotta
di fiori si adorna
veste di verde trifoglio
con bordature d’incanto
e riflessi argentei
Ha una borsa
di stelle
per avvicinare gli opposti,
la dualità del giorno.
La sua dolce gioia
è portatrice di luce
LUCE contro buio

Giselle e le Villi…

Il suono fatato di Chopin per il valzer di primavera…

Primavera fa di nuovo sventolare
la sua sciarpa azzurra per l’aria;
dolci, note fragranze
percorrono presaghe la campagna.
Già sognano le violette
ben presto di dischiudersi.
– Senti, da lungi quel lieve suono d’arpa!
Primavera sei proprio tu, ti ho riconosciuto!
[Eduar Möricke]

L’intramontabile Primavera di Vivaldi (violino barocco Davide Monti)

 

Danze del Quattrocento
ADA Danze Antiche a Glastonbury per l’Equinozio di Primavera 2009
I ringraziamenti del Chalice Well
2009_Chalice_ringraziamenti

 

Indimenticabile Le sacre du printemps: Danse sacrale. Musica di Igor Strawinsky, Coreografia di Maurice Béjart. Qui il link per rivederlo:

e ancora le Sacre nella fantastica esecuzione di…

Ma anche la Giornata della Poesia, qui con la nostra socia italo-australiana Patrizia Burely Lombardi

https://youtu.be/h4kqjFUwhD4

Festival della Poesia

Festival della Poesia di Monza II Edizione on line

E la dolce e intensa Meditazione per l’Equinozio di Primavera di Paola Lomi

E tra pochi giorni ricordamio il compleanno dell’eccelso  J.S. Bach qui cantato dal soprano Laura Antonaz,:
J.S. Bach – Aria del Soprano “Auch mit gedämpften, schwachen Stimmen”

 

 

 

 

19 Marzo – San Giuseppe

Abbiamo raccolto diversi spunti sulla figura di Giuseppe, questo padre non padre, compagno di viaggio di un cammino insolito e sacro, nobile e tenero Santo, protettore dei lavoratori e della buona morte, ma anche Principe dei Sogni venduto dai fratelli, e personaggio biblico di riferimento nei meraviglioso arazzi commissionati da Cosimo I de’ Medici tra il 1545 e il 1553 per la Sala de’ Dugento, ecc.

Guido Reni – San Giuseppe

 

 

SAN GIUSEPPE, IL “DISOBBEDIENTE” CHE SI PRESE CURA DI GESÙ dal biblista e cardinale Gianfranco Ravasi. Leggi qui l’articolo, cliccando per aprire il pdf: SAN GIUSEPPE 19 marzo

 

Il principe dei sogni. Gli arazzi di Giuseppe ebreo

nella poesia di Stefano Raimondi:

Il sogno di Giuseppe – Stefano Raimondi

nelle canzoni:

 

e per i bambini:

Giuseppe il re dei sogni- Giuseppe venduto dai fratelli