Dopo il concerto collegato ai festeggiamenti del Ventennale WKO-ADA del 6 febbraio scorso con Emilio Bezzi (liuto) e Alessandra Salamida (voce recitante) e che ha aperto la stagione musicale 2023 in San Carlo al Lazzaretto, il secondo concerto ha ospitato la prestigiosa Cappella Musicale del Duomo di Milano il 14 marzo
La Cappella
Musicale del Duomo di Milanoè la più antica
istituzione culturale milanese, e tra le più antiche al mondo.
Attiva ininterrottamente dal 1402 ad oggi,
è espressione culturale-artistica della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano
e custodisce un patrimonio singolare che si identifica nella musica che i suoi
Maestri hanno scritto nel corso dei secoli sino ai nostri giorni, conservata
nell’Archivio della Veneranda Fabbrica. Fu nel 1402 che i deputati della Veneranda
Fabbrica nominarono il primo cantore e maestro di canto della Cappella
Musicale, il musichus Matteo da Perugia. Alla fine del suo mandato la
Cappella ebbe la sua organizzazione completa: maestro, organista, vicemaestro,
cantori adulti e fanciulli.
Lo scorrere dei secoli porta un continuo
flusso di maestri d‘eccellenza che contribuiscono all’evoluzione e
all’arricchimento del suo patrimonio musicale. Nel XIX si riorganizza la Scuola
per l’istruzione dei ragazzi ai quali, secondo l’usanza del tempo, viene
affidata la voce acuta (soprani e contralti).
Oggi la Cappella Musicale, composta da
adulti e ragazzi, è presente nel Duomo di Milano ogni domenica alla solenne
Celebrazione “Capitolare” delle ore 11.00 e nelle principali festività
dell’anno.
Si esibisce regolarmente in concerti in Italia e all’estero; ospite in numerosi festival musicali, recentemente ha partecipato a tournée in Germania (2017) e in Giappone (2014 e 2017). L’attuale Direttore è Mons. Massimo Palombella.
La solmizzazione è una teoria diffusa dall’11° a tutto il 16° sec. e oltre, nella quale si limitava l’ambito tonale in una serie di 5 toni e di un semitono, detta esacordo. Nel sistema completo si distinguevano 3 tipi (trasportabili) di esacordo: il naturale (che nei nomi odierni coinciderebbe con le note do-re-mi-fa-sol-la), il duro (sol-la-si-do-re-mi) e il molle (fa-sol-la-si bemolle-do-re). L’intervento in una melodia di un altro semitono diverso da mi-fa (es. la-si bemolle) produceva una mutazione dei nomi delle note, dovendo il semitono essere sempre solfeggiato mi-fa.
Al centro della facciata del duomo di Milano c’è una scritta in cui si ricorda l’intitolazione della cattedrale: “Mariae nascenti”. Cioè qualcosa che sempre accade.
Un tempo Milano aveva una doppia cattedrale, intitolate rispettivamente a santa Maria Maggiore e a santa Tecla: quando nel 1386 la città, per iniziativa dell’arcivescovo Antonio di Saluzzo e del duca Gian Galeazzo Visconti decise di costruirne una nuova al posto di quelle due antiche, si decise per un’intitolazione diversa. Sembra che la decisione sia stata presa poiché Milano era stata colpita dalla peste che aveva falcidiato in particolare i bambini e quindi la dedicazione era un’implorazione a Maria per la salvezza dei più piccoli. In realtà la venerazione per Maria bambina era di antica data in città e aveva il suo fulcro in una chiesa che oggi non c’è più, Santa Maria Fulcorina (sorgeva nei pressi di Piazza Affari). Una venerazione così radicata che ha portato nel dopoguerra a una seconda dedicazione, con la bella chiesa progettata da Vico Magistretti al quartiere QT8. […] Grazie a quel participio presente, “nascenti”, annuncia alla città non qualcosa che è accaduto, ma qualcosa che sta accadendo ora, in ogni istante… (Giuseppe Frangi)
Il percorso mariano che caratterizza silentemente e profondamente la città di Milano, è stato più volte organizzato dalla nostra associazione, prendendo solitamente avvio nel cuore di questa dedizione, nel santuario nascosto di Santa Maria bambina che, nella prima ricoperta cerchia dei Navigli, conserva il simulacro dell’infante sacra.
Alla piccola e potente piccola regina dedichiamo questi ascolti del Salve Regina, la cui melodia monodica a noi tutti nota, è stata ripresa e sviluppata dai grandi musicisti fino ai giorni nostri.
A conclusione di quest’articolo le immagine di LEI dell’artista Mauro Drudi, di cui sotto potete rilegger la genesi e la nostra piccola collaborazione che il Covid19 ha bloccato, ma che ci auguriamo di riproporre nel prossimo marzo 2023.
Per la prima volta si sentì ferita da un pungolo insistente. Dentro di sé, cominciò a pronunciare parole di congedo. Salutava gli antri dei Cabiri e la voce stridente dei Coribanti, salutava il palazzo dov’era cresciuta e le coste scoscese di Samotracia. E improvvisamente capì il mito, capì che il mito è il precedente di ogni gesto, la fodera invisibile che lo accompagna. Non doveva temere l’incertezza che le si apriva davanti. In qualsiasi direzione si fosse mosso il suo sposo errante, una benda volteggiante del mito avrebbe avvolto la fanciulla Armonia. Per ciascun passo, l’orma era già segnata. E Armonia si sorprese a pronunciarsi a pronunciarsi queste parole: «Seguirò questo ragazzo invocando le nozze delle dee. Se il mio compagno di letto mi con- durrà per mare verso Oriente, celebrerò il desiderio di Eos per Orione, e ricorderò i talami di Cefalo; se viaggerò verso il brumoso Occidente, mio conforto sarà Selene, che patì lo stesso per Endimione sul Latmo ». Quando tornò a mostrarsi nelle sale del palazzo, Armonia aveva uno sguardo febbrile. Palpava gli stipiti delle porte, abbracciava le serve, poi tornò nella sua stanza, e carezzava il letto, le pareti. Raccolse un po’ di terra della sua patria e la portò alle labbra.
da Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso
Dal 2004 la nostra associazione si reca sull’isola di Samotracia, dove organizza i seminari estivi di danza sacra nei quali ultimamente vengono inserite alcune danze rinascimentali italiane, sottolineandone la geometria celeste che le rispecchia e sostiene.
Grati all’amica e socia Paola Lomi che ci aperto le porte dell’isola e che continua con generosità e professionalità ad illustrarcene i percorsi, anno dopo anno abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare quest’isola unica, speciale e ad amarla. Paola ha dedicato due libri a Samotracia e un terzo ad Olimpia, madre di Alessandro Magno e sposa di Filippo il Macedone che sull’isola aveva conosciuto durante il culto misterico celebrato nel Santuario dei Grandi Dei, area archeologica importantissima per lo studio di questo antichissimo culto.
Schelling è una delle menti più irrequiete e appassionate nel panorama della filosofia classica tedesca, cui si deve un infaticabile e poliedrico interesse per i diversi campi della filosofia. Le divinità di Samotracia (1815) è un testo affascinante, che dietro un apparato di note erudite e di dotti riferimenti alle lingue orientali affaccia un’importante ipotesi teorica: nell’antico culto delle divinità di Samotracia, i Cabiri, sarebbe celata la chiave del sistema archetipico delle credenze umane, antecedente a tutti i documenti scritti, le mitologie e le religioni di cui la storia ha conoscenza. La comprensione di questo culto misterico, i cui segreti erano riservati alla cerchia degli iniziati, dischiude la struttura originaria e fondamentale della coscienza mitologica e religiosa.
Ringraziamo di cuore la ricercatrice Meskalila Nunzia Coppola per questo bellissimo intervento che ha tenuto per WKO-ADA durante il seminario Dante 2021 ” E qindi uscimmo a riveder le stelle“, facente parte del ciclo Astri Musica e Danza che si è tenuto a Villa Giulia Pavarotti il 5-6 novembre 2021.
Qui completato, ringraziamo Meskalila per la possibilità di riascoltarlo integralmente. al link sottostante. Buona visione!
Gratissimi a Meskalila Nunzia Coppola per questo video realizzato dalla conversazione da lei tenuta per il Seminario WKO-ADA “Astri Musica e Danza 2021” dedicato a Dante lo scorso 6 e 7 novembre a Villa Giulia Pavarotti, a Pesaro, e ora qui disponibile al link seguente (ritagliatevi un po’ di tempo per vederelo: vale la pena!) :
Abbiamo dedicato a questa giornata diversi spunti che potete trovare su questo sito, nella bacheca online di “marzo special”. Pubblichiamo con piacere questo aggiornamento con uno degli intensi testi del poeta Stefano Raimondi, tratto da “Il sogno di Giuseppe” :
Questo non è un sepolcro. Da qui tengo le ombre accese le sagome sgorganti dalle insonnie. Sento le anche, le pelli trasudarsi nei segreti e un coro di sussurri tenere a bada la meraviglia di una stella. I lini lasciamoli piegati. Ora sono i porti a scoppiare d’arrivi.
e concludiamo con questo brano musicale, di cui ringrazio i soci Laura Antonaz (soprano qui nella parte di Gesù) e Davide Monti (violino barocco).
Il transito di San Giuseppe: Amato genitore, ah, non temere (Gesu) · Laura Antonaz Il Transito di San Gioseppe ℗ 2013 Tactus Conductor: Maria Luisa Baldassari Ensemble: Ensemble Les Nations Composer: Giovanni Paolo Colonna
Quest’anno il viaggio-studio nell’isola di Samotracia, vedi il programma a: http://www.danzeantiche.org/samotracia-2022-viaggio-studio/ , è dedicato al mito di Cadmo e Armonia e alle loro nozze sacre che furono celebrate sull’isola di Samotracia alla presenza di tutti gli dei.
In preparazione a questo viaggio, abbiamo voluto dedicare tre conversazioni attorno a questo tema, di cui ringraziamo di cuore Marina Gelmetti, Paola Cassella e Paola Lomi per l’accurata e generosa esposizione, vedi http://www.danzeantiche.org/conversazioni-online-2022/ , e riportiamo qui sotto l’estratto delle conversazioni per poterle in parte riascoltare e godere al meglio quest’appuntamento estivo. A presto sull’isola sacra!!!
La congiunzione Giove-Saturno ebbe particolare rilievo nei primi secoli dopo l’anno mille. La ricerca astrologica, all’epoca influenzata dalla tradizione Islamica e neo-platonica, tentava di ricostruire la configurazione celeste corrispondente alla nascita del Cristo, ovvero il suo oroscopo. Questa indagine, appoggiandosi sulle osservazioni dell’astronomo arabo Abu Ma’shar, arrivò a supporre che la “Stella dei Magi”, fosse in realtà la congiunzione di questi due pianeti, segno di un cambiamento di carattere globale. Infatti, come confermerà Keplero qualche secolo dopo, tale congiunzione avvenne intorno all’anno zero nel segno dei Pesci, il segno rappresentante la spiritualità e il misticismo.
Il Corteo del Magi: una tradizione antichissima a Milano Quella del corteo dei Magi che, il giorno dell’Epifania, parte da Piazza del Duomo e arriva a Sant’Eustorgio, è una delle tradizioni più antiche di Milano. Attestata sin dal Medio Evo, la sfilata del corteo dei Magi è uno degli eventi più amati dai milanesi, che vi assistono disponendosi lungo tutto il percorso.
La chiesa dei Santi Re Magi è una piccola chiesa che sorge nella periferia nord-est di Milano, a poca distanza da quello che originariamente era l’antico borgo di Corte Regina, nel comune di Cimiano, a testimonianza del quale oggi rimangono pochi edifici. La piccola chiesa è una di essi e sorgeva al centro di questo borgo di cui si ha conoscenza sin dal XII secolo. Attualmente la chiesa si trova attorniata da palazzi residenziali, incastonata tra via Palmanova e via Rottole.
Storia – Interno della chiesa Nel XIV secolo si hanno le prime notizie della chiesa, allora dedicata a Santa Maria; nel XVII secolo la chiesa fu poi dedicata alla Natività di Maria, e infine ai Re Magi, con la prima attestazione nel 1704. Verso la fine del ‘700, la chiesa dei Magi venne venduta al Demanio, e diventò una abitazione per contadini, con l’abbattimento dell’abside e dell’aula sacra. Durante la seconda guerra mondiale, il campanile fu bombardato e parzialmente distrutto. Nel dopoguerra don Giuseppe del Corno, parroco di San Giuseppe dei morenti, dalla quale la chiesa ora dipende, riuscì a ottenerla in dono: dopo un restauro, essa fu nuovamente consacrata il 6 gennaio 1967. A oggi la chiesa è aperta (e quindi vengono celebrate le messe) da ottobre a giugno, mentre rimane chiusa nella stagione estiva.
Struttura – L’edificio restaurato rivela la sua struttura architettonica originale. In mattoni rossi, appare decisamente gotico nella facciata, piccola ma slanciata, elegante ma sobria, con il semplicissimo portale sormontato da un arco gotico cieco e dall’ancor più semplice rosone. La porta è recente, con sottili stipiti di marmo. Una formella con Madonna e Bambino arricchisce l’arco gotico cieco. Ai lati
della facciata, sui pilastri terminali dei fianchi dell’edificio, si appoggia
la cuspide a due spioventi, con le archeggiature intrecciate poste sotto la
leggera cornice da cui sporge il tetto.
Lo stile, tipico lombardo del tardo trecento, denuncia però l’origine romanica dell’edificio, sia nelle strette finestre strombate delle pareti longitudinali, sia nell’arco a tutto sesto che si apre sull’abside circolare, che all’esterno sembra una pura abside romanica. L’interno è a una sola navata con il tetto a capriate. Sulla parete sinistra si aprono quattro finestre di cui una piccolissima vicino all’abside, con tre piccoli affreschi del tutto sbiaditi a forma di medaglione. Di queste quattro finestre, sulla parete esterna, tre sono ad ogiva gotica ed una a arco romanico. La finestrella più piccola, che ha i medaglioni affrescati all’interno, presenta anche all’esterno pochi resti di affreschi ed è tra le tre ad ogiva. Sempre sulla parete interna di sinistra, poco dopo l’entrata, in una piccola nicchia, poggia una Madonnina in pietra che contribuisce a dare alla chiesetta quel suo aspetto di toccante semplicità. Sulla parete di destra si aprono finestre tra cui spicca il quadro, recentemente restaurato, dei Re Magi. L’altare monolitico di granito, di grande semplicità, poggia su un piedestallo di ferro e misura cm. 170 di lunghezza, cm. 87 di larghezza e cm. 53 di altezza. A destra dell’abside è collocato, incastonato nel muro, il tabernacolo di ottone e rame. Sull’altro lato dell’abside è situato un crocifisso di legno, collocato su candelabri che gli fanno da supporto. L’abside è affrescata dal pittore Martinetti. A destra del corpo della chiesa si
erge il piccolo campanile.
Notizie storiche Sin dal secolo XII, è ricordata, ad est di Crescenzago, una località chiamata Corte Regina, nella quale si trova la chiesetta di S. Maria. Alcuni storici pensarono che tale chiesetta ed i fabbricati contigui fossero stati fatti costruire da Beatrice Regina figlia di Martino II della Scala, signore di Verona e sposa di Bernabò Visconti; e che per Corte Regina si ripetesse quanto Regina della Scala fece nel 1381 a Milano, dove volle costruire una chiesa pure dedicata a S. Maria: S. Maria della Scala. (Nel 1776 tale chiesa fu distrutta ed al suo posto fu eretto il famoso Teatro alla Scala). Ma Corte Regina era chiamata così molto tempo prima che Beatrice della Scala nascesse. Altri storici hanno pensato che la località Corte Regina prendesse il nome dalla grande Via Romana: via Regina o Regia. Sembra invece più probabile che il nome Corte sia di origine longobarda (da Curtes: proprietà fondiarie riservate all’amministrazione Regia o Ducale). Ma, qualunque sia il significato del toponimo Corte Regina, è quasi certo ormai che essa indicasse una località della quale il più lontano ricordo è legato alla chiesa romanica di S. Maria che, verso il 1330, aveva anche un altare dedicato a S. Tommaso. Nel 1400 la località possedeva un Lazzaretto ben costruito e organizzato, destinato, per lunga consuetudine, al ricovero degli appestati. Tale Lazzaretto, come tanti altri costruiti in mezzo alla campagna, non fu più usato dopo la costruzione del grande Lazzaretto fuori Porta Orientale, iniziata nel 1488. Corte Regina fu visitata, nel 1567, dal prevosto di Desio e, nel 1582, dal Cardinale Carlo Borromeo. Dalla relazione di queste due visite otteniamo una buona descrizione della chiesa di S. Maria in Corte Regina e degli uffici contigui, e quindi del Lazzaretto con tutti i suoi servizi. Ci risulta che vi era anche un beneficio ecclesiastico formato da circa 200 pertiche di terreno che S. Carlo destinò al nuovo seminario diocesano, che si assunse l’onere delle Messe da celebrarsi nella chiesetta. Nel 1611, il Cardinale Federico Borromeo, in visita a Corte Regina, trovò, tra l’altro, che le monache, dette Vergini di Vecchiacchia, facevano celebrare delle messe perché avevano, accanto alla chiesa, dei beni immobili. È la prima volta che si parla della presenza di queste monache. Esse riuscirono ad introdurre il culto del Re Magi nell’antica chiesa chiamata prima S. Maria, poi della Natività di S. Maria, ed infine dedicata ai Re Magi. Infatti, nel 1704, il delegato dell’arcivescovo Archinti, in visita a Corte Regina, annotò che la chiesa era chiamata Oratorio dei tre Re Magi, ed aveva sull’altare maggiore una tela raffigurante appunto la Vergine con Gesù Bambino adorato dai Magi. Lo status materiale e spirituale della chiesa rimase invariato dal 1704 al 1756 ma, verso la fine del ‘700, con le famose soppressioni volute prima da Giuseppe II e poi dalle leggi napoleoniche, la chiesa dei Magi venne venduta al Demanio statale e quindi trasformata in casa e ripostiglio per contadini. Ne risultò l’abbattimento dell’abside e dell’aula sacra. Parte del campanile fu demolito da bombe durante la seconda guerra mondiale. Il prevosto di S. Giuseppe dei Morenti, don Giuseppe del Corno, intravisto il pericolo della totale distruzione della chiesetta, riuscì a farla donare alla sua parrocchia, iniziandone la paziente opera di restauro. Si ritrovarono le fondamenta dell’abside e, grazie ad una vecchia stampa, si conobbero alcune soluzioni formali che erano state del tutto cancellate. La chiesa venne inaugurata dal cardinale Giovanni Colombo il 6 gennaio 1967. Papa Paolo VI, a ricordo del suo ingresso a Milano nella festività dei Magi, inviò un prezioso calice per la nuova chiesa, che purtroppo venne rubato.
Situato al piano nobile del palazzo, fu una delle prime decorazioni eseguite dopo il completamento dell’edificio da parte di Michelozzo, e rappresenta il capolavoro del fiorentino Benozzo Gozzoli, allievo di Beato Angelico. Questo piccolo spazio era la cappella privata di famiglia e fu realizzata nel 1459, a forma originariamente quadrangolare (oggi un angolo è scantonato per via dei lavori seicenteschi allo scalone), con una piccola abside sempre a pianta quadrata, senza finestre. Nelle tre pareti maggiori è raffigurata la Cavalcata dei Magi, che fa da pretesto per rappresentare un preciso soggetto politico che diede lustro alla casata dei Medici, cioè il corteo con papa Pio II Piccolomini, e numerose personalità, che arrivò a Firenze nell’aprile del 1458, diretto a Mantova. In tale città il pontefice aveva chiamato principi e autorità ecclesiastiche a partecipare ad un incontro per progettare una crociata in difesa della cristianità contro l’avanzata turca in Europa. Pio II fu preceduto da vari principi italiani che sostarono a Firenze per unirsi al seguito papale: fra gli altri, anche Galeazzo Maria Sforza, il figlio quindicenne di Francesco duca di Milano, e Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, alleati dei Medici, che appaiono ritratti all’interno della scena (Acidini, 1993)
Gli affreschi si dispiegano scenograficamente attorno allo spettatore e si ha l’impressione di ammirare il corteo senza interruzioni, dall’interno di una curva del suo percorso. L’opulenza e l’esotismo dei dignitari bizantini sono qui ben rappresentati e ci possono dare una misura dell’impatto sorprendente che ebbe sulla popolazione fiorentina, compresi i numerosi artisti attivi in quel periodo a Firenze.
Parete est In un paesaggio di gusto quasi tardogotico, ricco di dettagli cortesi come castelli, scene di caccia e piante fantastiche, ispirato probabilmente ad arazzi fiamminghi, i ritratti della famiglia Medici sono posti in primo piano nella parete a destra dell’altare, personificati nelle figure a cavallo: un giovane, forse un ritratto idealizzato di Lorenzo il Magnifico in pompa magna, precede il corteo su un cavallo bianco, lo seguono suo padre Piero il Gottoso ed il nonno e capofamiglia Cosimo de’ Medici, entrambi a cavallo di una mula.
Seguono due dignitari italiani, Sigismondo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza, signori rispettivamente di Rimini e di Milano, che furono in quegli anni ospitati dai Medici, e sono qui rappresentati per celebrare i successi politici della casata. In un certo senso le casate dei Malatesta e degli Sforza si erano recentemente imparentate con i Paleologi di Bisanzio, per questo essi sembrano fare da “garanti” al corteo che si svolge dietro di essi, come se fossero dei protettori alleati ai Medici. Dietro di loro si dispiega un corteo di filosofi platonici italiani e bizantini, tra i quali gli umanisti Marsilio Ficino e i fratelli Pulci e lo stesso pittore Benozzo, riconoscibile perché guarda verso lo spettatore (secondo le istruzioni di Leon Battista Alberti) e per la chiara iscrizione sul tessuto del cappello rosso: Opus Benotii d.. Nella stessa fila, secondo la studiosa Silvia Ronchey, si troverebbe, girato di tre quarti, il vero ritratto di Lorenzo de’ Medici adolescente. In terza fila si riconosce una fila di dignitari bizantini (dalla lunga barba) dove forse potrebbero essere stati raffigurati Giorgio Gemisto Pletone, Giovanni Argiropulo, Isidoro di Kiev, Teodoro Gaza e Niccolò Perotti. Nella fila successiva si scorge un personaggio con un berretto rosso e un ricco fregio dorato: quasi certamente si tratta di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II. Il realismo dei volti è notevole ed è tipico dell’arte rinascimentale.
Parete sud Nella parete successiva, il personaggio barbuto su un cavallo bianco è l’imperatore Giovanni VIII Paleologo di Bisanzio; accanto a lui le tre ragazze a cavallo sarebbero le tre figlie di Piero il Gottoso, sorelle di Lorenzo e Giuliano: da sinistra Nannina, Bianca e Maria.
Parete ovest Infine nella parete di sinistra si riconosce la figura di un anziano su una mula, ritratto di Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, anticipato dal fratello minore di Lorenzo, Giuliano de’ Medici con un leopardo maculato sul cavallo. Nella stessa scena sono raffigurati Sigismondo Pandolfo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza e una serie di dignitari bizantini fra esotiche fiere come linci e falconi.
Scarsella Nella scarsella sono stati affrescati due cori di angeli, nello stile del Beato Angelico, che coronano la pala d’altare, una copia di fine del Quattrocento dell’originale Adorazione del Bambino di Filippo Lippi, oggi conservata a Berlino.