ARMONIE CELESTI – ARMONIE TERRENE
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Guglielmo Ebreo – SECONDA ED – Patrizia Pozzi
E’ scomparsa Patrizia Pozzi. Addio alla studiosa e professoressa di Storia del Pensiero ebraico dell’Università degli Studi di Milano, relatrice al Convegno ADA 2012 su Guglielmo Ebreo da Pesaro con “Armonie celesti – Armonie terrene”. Patrizia Pozzi, 64 anni, è scomparsa dopo una lunga e dolorosa lotta contro la sla. I milanesi che hanno seguito le sue lezioni in via Festa del Perdono non dimenticheranno mai la passione e l’entusiasmo con cui insegnava, né la sua eleganza e la sua empatia.
A ricordare la docente e il suo instancabile impegno anche a favore dell’antifascismo è stato Roberto Cenati, presidente Anpi Provinciale di Milano mettendo in luce la sua attività di divulgazione dei valori resistenza e della costituzione.
Chi era Patrizia Pozzi
Nata a Milano nel 1956, l’insegnante aveva scritto con Miuccia Gigante il libro ‘Mai più lontani’, Resistenza e antifascismo visti con gli occhi di una bambina, in ricordo del padre di Miuccia, Vincenzo, tra i primi oppositori al regime fascista, comandante partigiano, deportato e assassinato nella Risiera di San Sabba a Trieste, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
La professoressa aveva studiato vari aspetti della filosofia di Spinoza pubblicando, su questo autore diversi titoli, tra i quali ‘Visione e parola. Un’interpretazione del concetto spinoziano di scientia intuitiva, tra finito e infinito’ (Franco Angeli, Milano 2012) e De vita solitaria: Petrarca e Spinoza (Mimesis, Milano 2017). Inoltre, aveva curato i ‘Quaderni Spinoziani’, tra cui ‘L’eresia della pace – Spinoza e Celan. Lingua, memoria, identità.
Iscritta all’Anpi di Cologno Monzese (Milano) e all’Aned, Patrizia Pozzi aveva condotto ricerche e studi sui vari aspetti del fascismo e sulla deportazione. Suo nonno, Antonio Fanzel, oppositore al nazifascismo fu deportato e ucciso nel lager nazista di Mauthausen. “Ho conosciuto Patrizia, con la quale, come Anpi abbiamo organizzato numerose iniziative per il Giorno della Memoria – ha scritto Cenati in una nota -. Non dimenticherò mai la sua passione, le sue analisi precise e puntuali sulla storia della deportazione e dei crimini del nazifascismo. Patrizia era sempre disponibile nell’offrire il suo importante e indispensabile contributo, con l’entusiasmo e l’empatia che suscitava in tutti noi. Non la dimenticheremo mai”.
Nel 2017 dopo essere rimasta ricoverata in rianimazione, la docente aveva scritto una lettera per salutare i suoi allievi, impossibilitata, nel continuare a insegnare a causa della malattia.
“Sono sopravvissuta per miracolo e grazie allʹamore delle mie figlie – si legge nel testo – ma la mia situazione è difficile: attualmente respiro collegata ad un ventilatore, mi nutro via Peg (ho un buco sia in gola che nella pancia, con i rispettivi tubi collegati ad apposite macchine), non mi muovo più (sono tetraplegica) e riesco a parlare (miracolosamente) solo per qualche ora al giorno. Scrivo al computer con gli occhi. Non posso essere assistita a casa e sono perciò ricoverata in un Centro apposito in provincia di Lecco, a Merate. Certamente, sarei stata la candidata perfetta per un lager nazista o per il castello di Hartheim, e per un forno crematorio, come avvenne a mio nonno, Antonio Fanzel, deportato politico ucciso a Mauthausen: aveva 35 anni e lasciava una moglie e cinque figli. Anchʹegli, come milioni di esseri umani, passò per il camino: le fiamme che arsero i libri nel 1933 (il più grande il 10 maggio) furono le fiamme che arsero per cancellare chi era ritenuto indegno di vivere, anche i disabili, come me in questo momento della mia vita”.
“Sono sopravvissuta per miracolo e grazie allʹamore delle mie figlie – si legge nel testo – ma la mia situazione è difficile: attualmente respiro collegata ad un ventilatore, mi nutro via Peg (ho un buco sia in gola che nella pancia, con i rispettivi tubi collegati ad apposite macchine), non mi muovo più (sono tetraplegica) e riesco a parlare (miracolosamente) solo per qualche ora al giorno. Scrivo al computer con gli occhi. Non posso essere assistita a casa e sono perciò ricoverata in un Centro apposito in provincia di Lecco, a Merate. Certamente, sarei stata la candidata perfetta per un lager nazista o per il castello di Hartheim, e per un forno crematorio, come avvenne a mio nonno, Antonio Fanzel, deportato politico ucciso a Mauthausen: aveva 35 anni e lasciava una moglie e cinque figli. Anchʹegli, come milioni di esseri umani, passò per il camino: le fiamme che arsero i libri nel 1933 (il più grande il 10 maggio) furono le fiamme che arsero per cancellare chi era ritenuto indegno di vivere, anche i disabili, come me in questo momento della mia vita”.
“Ecco tutto… tutto piuttosto difficile: eppure mi piace ancora vivere e desidero continuare a vivere – scriveva ancora la studiosa -. E desidero poter scrivere, discutere, lottare secondo gli ideali che guidavano mio nonno e che hanno sempre guidato anche me: questo è per me linfa vitale. Non considero quello che non ho, ma quello che ho: e ringrazio il Cielo di poter avere ancora la luce degli occhi, del cuore, della mente”
Certamente, da ammalata sono stata indotta a pormi domande radicali. Nel luogo in cui vivo, le domande richiamano a piani effettuali: che cosa significa vivere? Quando è accettabile vivere nonostante…? Come si attiva l’unità anima-corpo? Spesso le domande e le riflessioni si mettono a fuoco scrivendo o parlando a qualcuno: emerge così l’importanza del rapporto, dell’interrelazione per vivere la malattia non solo come problema, ma anche come occasione di riflessione e comprensione. E si capisce che l’affetto che ci viene rivolto vale quanto una medicina, per il nostro spirito e per il nostro corpo.
In generale, si potrebbe vedere la malattia come una radicale trasformazione della vita, non solo come via verso la morte. E la speranza è elemento vitale di ogni giorno, di ogni ora, di ogni attimo.
Vi auguro giorni felici
un abbraccio, con tanto affetto
Patrizia Pozzi”