Danza storica: Intervista al ballerino Marco Bendoni

Intervista a Marco Bendoni, ballerino e specialista di danza storica

La danza nobile del rinascimento italiano non è solo un mero esercizio di stile, ma anche di conoscenza e armonizzazione della relazione con sé stesso e con gli altri.

L’approccio a queste danze non è fatto solo di preparazione e fisica e armonia nel gesto quindi, ma è anche necessaria la capacità di imparare a riconoscere il moto dell’anima e le sue difficoltà a mostrarsi in maniera limpida, cosi come le conoscenze necessarie per veicolare, ciò che si apprende danzando, verso un’armonia che ci avvicina sempre più al proprio spirito.

Per quanto mi riguarda un danzatore di oggi che si avvicina alla danza antica deve fare un vero e proprio percorso all’indietro nel tempo per cercare di accogliere in sé i precetti filosofici e spirituali che animavano i cuori di quel tempo.

La preparazione del corpo fisico, soprattutto riferendomi al XV secolo, necessita di un atto intenzionale chiaro e, osservando l’iconografia del tempo, bisogna lasciarsi penetrare da quelle posture…, come ad esempio guardando i corpi delle tre Grazie nella Primavera del Botticelli e fare in modo che il mio corpo le riproduca copiando, senza interferire troppo con il pensiero, ma lasciando emergere quello che la memoria legata al corpo sa…

Aderire a queste forme semplici, silenziosi nella mente e coscienti di ogni parte dell’insieme del corpo, così come accogliere in sé una certa umiltà e gratitudine, permetterà allora che il miracolo avvenga; diventiamo rappresentanti autentici di un periodo intenso di sviluppo di armonia e bellezza, com’è stato portatore il Rinascimento italiano nel mondo.

Nel momento stesso in cui mi ritrovo a ballare queste danze antiche diventa evidente che c’è una netta differenza percettiva man mano che cambia il periodo storico rinascimentale e dunque anche i passi e le coreografie. Mi riferisco al primo rinascimento (il periodo che va dal 1450 al 1520 circa) e quello del tardo Cinquecento fino al 600 inoltrato.

Per le danze del Quattrocento sono pochi i movimenti tecnici da apprendere, ma col il tempo ho capito che se volevo ballarli bene, dovevo abitarli con una presenza che accogliesse profondamente il moto dell’anima. Se, ad esempio, il mio cuore batte forte perché spesso incontro gli occhi dei miei compagni di ballo e non riesco a gestire l’emozione che ne scaturisce, così come nell’essere guardato da un pubblico più o meno numeroso che risveglia in me una certa ansia, il mio danzare invece di portare gioia serenità e armonia, si rivela una sorte di incubo che mira solo all’immagine di sé e che trasforma in negativo l’esperienza di tutti i danzatori, compreso l’eventuale pubblico. Devo allora imparare a gestire il mio mondo emozionale accogliendo ed riequilibrando le sue manifestazioni. Ispirarsi a quei principi filosofici che permearono il Rinascimento italiano che pose al centro l’essere umano e la sua possibilità di elevazione attraverso quelle qualità superiori quali misura, temperanza, misericordia, serenità, gioia, armonia e amore che porgono le stesse Muse inspiratrici di tutte le Arti.

Nelle danze del Cinquecento, invece, ho bisogno di essere più tecnico e quindi di studiare i passi che cominciano a complicarsi con salti e giri e miriadi di questi passi messi in sequenze sempre più complicate. Questo fa sì che diventi molto concentrato su me stesso e meno preoccupato dell’incontro con l’altro: quasi non lo vedo…, sono presente, invece, totalmente alle mie sensazioni fisiche e molto meno ai moti dell’anima; inoltre sviluppo una certa vanità rispetto alla mia bravura tecnica e al moto di stupore del pubblico. Ovviamente ciò non toglie niente alla soddisfazione che provo a dar sfogo al mio umore sanguigno danzando  un ballo lungo e complesso come sono spesso, appunto, quelli del Cinquecento.