L’Ulisse dantesco rappresenta un’immagine insuperata della grandezza dell’uomo, del suo irrefrenabile impeto a penetrare nell’ultima profondità delle cose, nella scaturigine dell’essere.
Il rimprovero a Ulisse che fu di Petrarca, subito a ridosso della Commedia: «Disiò di veder troppo» (Trionfo della fama, II 18), rivela una posizione che la nostra cultura ha largamente accolto e fatta propria: condannare questa smisurata aspirazione del cuore, stigmatizzarne l’eccesso, o svuotarla del suo contenuto reale. Così ci si preclude la comprensione dell’Ulisse dantesco e si rende inintelligibile il muoversi umano.
«Ma lui, Ulisse, proprio per la stessa “statura” con cui aveva percorso il mare nostrum, arrivato alle colonne d’Ercole, sentiva non solo che quella non era la fine, ma che era anzi come se la sua vera natura si sprigionasse da quel momento. E allora infranse la saggezza e andò» (Luigi Giussani, Il senso religioso).
Questo Ulisse continua ancor oggi a dar scandalo ai saggi e ai benpensanti e respiro agli amanti della grandezza e nobiltà della natura umana.
ADA Danze Antiche ha ricordato Ulisse nel bellissimo incontro con il filoso Paolo Spinicci che si è tenuto nella Biblioteca San Giovanni di Pesaro nel 2017 con le attrici Marta Comerio e Alessandra Salamida e le danzatrici Bruna Gondoni ed Enrica Sabatini e il gruppo danza storica ADA.
“Itaca, infine”, di Paolo Spinicci
Qui la voce di Marta Comerio sui versi meravigliosi di Kavafis, Itaca:
e la voce di Alessandra Salamida che li recita in lingua originale:
Inferno · Canto XXVI
Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ‘nferno tuo nome si spande!Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali.Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai, di qua da picciol tempo, di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’ più m’attempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee e proseguendo la solinga via, Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio perché non corra che virtù nol guidi; Quante ‘l villan ch’al poggio si riposa, come la mosca cede a la zanzara, di tante fiamme tutta risplendea E qual colui che si vengiò con li orsi che nol potea sì con li occhi seguire, tal si move ciascuna per la gola Io stava sovra ‘l ponte a veder surto, E ‘l duca che mi vide tanto atteso, «Maestro mio», rispuos’ io, «per udirti chi è ‘n quel foco che vien sì diviso Rispuose a me: «Là dentro si martira e dentro da la lor fiamma si geme Piangevisi entro l’arte per che, morta, «S’ei posson dentro da quelle faville che non mi facci de l’attender niego Ed elli a me: «La tua preghiera è degna Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto Poi che la fiamma fu venuta quivi «O voi che siete due dentro ad un foco, quando nel mondo li alti versi scrissi, Lo maggior corno de la fiamma antica indi la cima qua e là menando, mi diparti’ da Circe, che sottrasse né dolcezza di figlio, né la pieta vincer potero dentro a me l’ardore ma misi me per l’alto mare aperto L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, Io e ‘ compagni eravam vecchi e tardi acciò che l’uom più oltre non si metta; “O frati”, dissi “che per cento milia d’i nostri sensi ch’è del rimanente Considerate la vostra semenza: Li miei compagni fec’ io sì aguti, e volta nostra poppa nel mattino, Tutte le stelle già de l’altro polo Cinque volte racceso e tante casso quando n’apparve una montagna, bruna Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; Tre volte il fé girar con tutte l’acque; infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso» Concludiamo con la bellissima Odissea di Bob Wilson: buona visione! https://youtu.be/7IBd5EYqEds |